Non devi essere figo

D’estate a Milano spuntano i parchi.

Parcheggio vicino al primo che trovo.
Non so se è solo un mio problema, ma io mi sento continuamente osservato. Come se qualcuno dovesse da un momento all’altro rimproverarmi.
Ogni azione che faccio la sento come potenzialmente illegale.

Cammino sull’erba. Si potrà fare? Siamo in un parco. Vabè, io lo faccio.
Trovo uno spazio né troppo isolato, né troppo vicino a qualcuno. Non vorrei essere giudicato asociale o molestatore.
Stendo l’enorme telo di Bob Marley sull’erba. Sì, a volte me le cerco.

E’ proprio questo che sono venuto a fare al parco: cercarmele.
Mi sono rotto di questa continua paura del giudizio.
E’ una cosa che mi sono inventato io, e deve finire.

Mi siedo, incrocio le gambe, apro il quaderno e scrivo. E’ molto più facile scrivere a casa propria. Da solo, nella tua stanzetta. Nessuno ti guarda e ti senti libero. E invece no, io lo faccio qua.
C’è un sole da film western. Mi tolgo la camicia. Il problema non è se sono troppo magro, se ho abbastanza muscoli, se sembro bello o brutto. Il problema è che ti sei tolto la camicia in un luogo pubblico. Si potrà fare? Certo, è un cazzo di parco!

Ma la vera sfida inizia adesso.
A cento metri da me c’è un campo di bocce con dei vecchi che giocano. Accanto ci sono due panchine. Su una ci sono altri tre vecchi che parlano, l’altra è vuota.
Sfida accettata.

La difficoltà è sempre la stessa: per essere sicuri di essere dei fighi la cosa migliore è non fare nulla. Bisogna essere l’uomo Denim, l’uomo che non deve chiedere mai.
Ma quest’uomo è un coglione. E’ uno che ha paura che gli dicano di no e che poi lo prendano in giro. Fa tutto il figo, ma la sua vera immagine è quella di un bambino tremante in un angolino.
Inizio con il mantra: “non devo essere figo, non devo essere figo, non devo essere figo…”

Facciamolo. Mi alzo, metto il telo e il quaderno nello zaino e vado a sedermi sulla panchina vuota.
Guardo la partita per quindici minuti. Poi, dopo un po’ di mantra, chiedo ai vecchietti della panchina accanto come funziona per giocare. Quello con la barba e l’ossigeno portatile mi dice che appena finiscono entriamo tutti. E mi spiega un po’ di regole. Hanno tutti voglia di parlare, ma Pietro è il più coraggioso.

Quando la partita finisce Pietro insiste perché io giochi anche se forse non avrò tempo per fare un’intera partita: “tanto se esci ti sostituisce qualcuno.” Nel frattempo sono arrivati altri signori.
Appena entriamo in campo gli chiedono: “Pietro, è tuo nipote?”
“No, è un signore che passava di qua.”
Questo significa:
A) Che questa sensazione di star facendo qualcosa di strano non è solo nella mia testa.
B) Che sto facendo la cosa giusta.

Ovviamente sono il più scarso e perdiamo la partita. Ma quando li ringrazio e li saluto sono tutti contenti.

(Foto originale)


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Maestre e zombie.

Come vere signore rispettabili, ci alziamo presto, prepariamo la colazione ai nostri figli, il caffè a nostro marito e usciamo.

Da come ci guardano il bidello e le colleghe si capisce che abbiamo azzeccato l’abito. Sembra quasi che non si accorgano che siamo vestite, se non per una piccola espressione di rispetto per la sobrietà e per quel pizzico di eleganza che ci contraddistingue.

Ma non siamo qui per loro. Noi abbiamo una missione: educare i bambini. Trasformarli, cambiarli, farli diventare adulti. Sono loro il nostro obiettivo.

“Buon giorno bambini.” Siamo molto gentili, soprattutto all’inizio dell’anno. Non vogliamo che si spaventino. Facciamo insieme dei cartelloni di benvenuto che attaccheremo al muro. A loro piace, disegnare, colorare, mostrare che sanno scrivere delle lettere. Sono felici.
Ci seguono, ci ascoltano. Sono bravi, sono calmi, sono silenziosi.
Possiamo iniziare.

Prove d’ingresso.
Bisogna capire cosa sanno e non sanno fare.
Stanno un’ora a fare delle schede.
Uno di loro, Mattia, prende lo zaino, si alza e va verso la porta.
Gli chiediamo: “dove vai?”
“A casa”, risponde.
E ridiamo come le matte: “Ma non puoi andare a casa. Fuori non c’è la mamma. Vuoi perderti per strada? Come fai a tornare a casa senza la mamma?”

Impareranno tutti che non bisogna alzarsi senza il permesso, che non si può uscire dalla classe, che non si può non fare i compiti, che non si può giocare mentre si lavora, che non ci si tolgono le scarpe in classe, non si grida, non si danno pugni, non si corre, non si ride, non si piange, non si scherza, non si gioca con il cibo, non ci si arrampica sugli alberi o sullo steccato in giardino, non si parla.
Zitti. State zitti.

La più grande soddisfazione, dopo anni di lavoro, è vederli uscire dalla quinta elementare completamente cambiati. Certo, ognuno ha la sua personalità. Ma sono tutti bravi, composti, educati.
Per noi l’indizio è quel sorriso. Una volta ridevano o piangevano quando ne avevano voglia. Adesso sanno esattamente quando e come sorridere. Mentre ti danno la mano per congedarsi dalla scuola elementare.

E poi torniamo a casa. Esauste. E’ un lavoro usurante il nostro. Provate voi a rimproverare continuamente qualcuno dalla mattina al pomeriggio. Per il nostro corpo non è diverso se litighiamo con un adulto o con dei bambini. Provate a litigare con qualcuno per quattro ore di fila, ogni giorno, per tutta la vita.

Ma è una missione. E la portiamo a termine con piacere. Anche solo per riuscire a vedere quel sorriso.

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Un racconto sui sogni lucidi.


Una volta facevo questa pratica dei sogni lucidi.
I sogni lucidi sono quando tu stai sognando e acquisisci la coscienza di essere in un sogno. E puoi fare quello che ti pare.
Io avevo una tecnica che mi permetteva di fare sogni lucidi ogni notte.
Praticamente era come non dormire mai.
Ogni notte andavo a letto e mi risvegliavo nel sogno.

All’interno del sogno facevo esperimenti.
Un giorno, appena mi risvegliai nel sogno, decisi che volevo controllare se la percezione della realtà era come quella che abbiamo da svegli. Cioè se nel sogno le cose mi apparivano vere come quando ero sveglio.

Iniziai a guardarmi intorno. Accanto a me c’era questo muro ruvido e azzurro e questo comò di legno massiccio marrone. Davanti a me c’era un tizio che indossava un’armatura medievale di metallo. Metallo vero. Fuori dalla finestra il cielo era un cielo vero, con nuvole vere, un campo di terra ed erba vere, mossa da un vento vero. Il sogno era reale quanto la veglia.

Il sogno è reale quanto la veglia. Siamo noi che abbiamo dei ricordi nebbiosi e vaghi di esso, perché appunto sono ricordi.
Ma il vero problema non è se il sogno è reale.

Al risveglio, la realtà non era più reale. Cioè era reale tanto quanto il sogno. Non credevo più nelle cose che mi circondavano.
Questo mondo non è reale.
La realtà è un sogno.

Ecco perché vi atturro la minchia con queste strane cose spirituali.
Perché io in testa ho miliardi di pensieri che cambiano continuamente, ma da quella mattina ce n’è uno che non se n’è mai andato.: “Come mi sveglio?”

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O TUTTO O NIENTE.

Quando eri piccolo era la libertà dai genitori.
Quando eri a scuola era la libertà dallo studio.
Quando eri anarchico era la libertà dallo stato.
Quando lavoravi era la libertà dal denaro.
Quando sarai libero sarà la libertà da te stesso.

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TOLSTOJ – ARTE: 1 – 0

Per ogni scelta della nostra vita possiamo usare due parametri:
1) Piacere/Dolore.
2) Vero/Falso.
Di solito succede che, dopo una vita passata a seguire il primo, uno si accorge del secondo. E vorrebbe un altro po’ di tempo.

Ma ve lo faccio dire da Lev Nikolaevic Tolstoj:

“Se riconosciamo che il fine di qualsiasi attività è soltanto il nostro piacere e solo in base a questo piacere la determiniamo, questa determinazione sarà evidentemente falsa. E’ successo proprio questo nella determinazione dell’arte. Eppure esaminando la questione del cibo a nessuno viene in mente di scorgere il significato del cibo nel piacere che riceviamo mangiandolo. Tutti sanno che la soddisfazione del nostro gusto non può mai servire come base per determinare il valore del cibo, e che quindi non abbiamo alcun diritto di supporre che i pasti con il pepe di Caienna, con il formaggio di Limburg, con l’alcool, e via dicendo, ai quali siamo abituati e che ci piacciono, costituiscono il migliore dei cibi umani.

Nello stesso modo la bellezza, o ciò che ci piace, non può affatto servire come base per definire l’arte, e una serie di oggetti che ci procurano piacere non può assolutamente essere il modello di ciò che deve essere l’arte. Vedere il fine e la destinazione dell’arte nel piacere che ne ricaviamo equivale ad attribuire, come fanno le persone di livello morale inferiore (i selvaggi per esempio), il fine e il valore del cibo al piacere che da esso si ricava.”
Lev Tolstoj, Che cos’è l’arte?


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DI COSA MI VESTONO QUEST’ANNO.

La felicità è essere liberi dall’opinione altrui.

Fino ai quindici anni ho indossato delle camicie iper colorate. Non ero mica come tutti gli altri.
Guardatemi, io sono diverso da tutti voi. E ho bisogno che lo vediate.
Verso i sedici anni ho visto questo ragazzo al liceo che indossava i vestiti vecchi e sgualciti dei propri genitori. Era chiaro che non gliene fregava niente dell’opinione degli altri. Esattamente quello che volevo comunicare anch’io.
Sono un punk. Lo notate, vero?
Verso i vent’anni è uscito il film Velvet Goldmine, un’istigazione all’omosessualità. Certo diventare gay era un po’ troppo, e poi non si vede da fuori. Bastava indossare il vecchio abito gessato anni settanta di mio padre e atteggiarmi da checca.
Lo capite o no che sono un dandy? E di voi non me ne frega un cazzo. Perché io sono diverso.

Poi un giorno ho comprato questo sacco a pelo per andare nel deserto, che di notte fa freddo. Credo sia stato progettato per l’Antartide. Indipendentemente dalla temperatura esterna, è sempre una sauna.
E lì ho capito. Voglio un giubbotto così. Voglio sentirmi dentro un forno in pieno inverno a Milano. Non importa se sembrerò l’omino Michelin, non importa se sarò vestito come tutti gli altri, non importa se la gente non saprà al primo sguardo che sono il più figo del pianeta.

Figo come con questa magnifica giacca di pelle nera che mi sto provando. Che costa cento euro in più del giubbotto-sauna che ho visto nell’altro negozio, che mi farà sentire una leggera brezza tutto l’inverno, che mi fa sembrare James Dean. La gente vorrà applaudire quando mi vedrà passare per strada, le ragazze faranno finta riuscire a non guardarmi. penseranno che il principe azzurro in realtà indossa un giubbotto di pelle. Che poi uno deve anche seguire le proprie inclinazioni. Mica siamo tutti uguali. Io sono diverso.

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LA FILOSOFIA DI COSO

La filosofia è pura fantasia.
Uno si alza la mattina, si inventa una visione del mondo e dice che il mondo è fatto davvero così.
Come sto facendo io dicendo che le cose stanno così come le sto dicendo.
La filosofia inventa a cazzo. Anche se poi ognuno pensa che sta dicendo la verità sulle cose.
Tute ste filosofie inventate come opere d’arte.
Sette miliardi di filosofie.

 

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CHE COS’E’ IL MONDO?

 
Che cos’è il mondo? Io non lo so davvero.
Ma proviamo qualche interpretazione.
 
Il mondo, per come la vedo io, è la nostra interpretazione di qualcosa che non è definibile.
Ognuno di noi si abitua, crescendo, a dare significato alle cose.
C’è un significato comune a tutti gli uomini e un significato totalmente diverso tra uomo e uomo.
Il primo significato è studiato dalla semiotica.
Sul secondo non ci capisce nessuno una mazza. Anche se tanti ne hanno parlato.

 

Il concetto che mi sembra più interessante qui è quello dell’inconoscibilità di ciò che stiamo osservando. Ciò che sta dietro alla nostra interpretazione è inconoscibile.
Noi vediamo soltanto ciò che i nostri sensi ci permettono di vedere, nella modalità in cui ci consentono di vederlo. E nulla più.
Tanto che è legittima la domanda se esista davvero qualcosa dietro a ciò che vediamo o se non siano i nostri sensi stessi a produrre ciò che vediamo, come mi sembra plausibile.
Nella kabbalah si dice che ciò che c’è dietro la nostra percezione è “Azmutò” ossia ciò di cui non è possibile parlare.
Questo potrebbe essere interpretato anche dicendo che la stessa percezione è tutto. E non si può parlare di qualcosa al di là della nostra percezione. E, attenzione, anche le percezioni spirituali o le comprensioni filosofiche o scientifiche rientrano nella percezione.

 

Quindi fuori di qui non c’è nulla.

 

Nella kabbalah si dice anche che “Non c’è nessuno tranne Lui”. E con “Lui”, cioè “Dio”, si intende la “Natura”, il mondo stesso. Non c’è nessuno tranne il mondo.

 

L’uomo crea il suo mondo. Non perché costruisce volontariamente qualcosa, ma perché tutto è una sua percezione.

 

A questo punto, anche il concetto di “percezione” risulta sbagliato. Perché non si tratta più di percepire qualcosa fuori di noi, ma siamo noi a costruire qualcosa. Quello che penso di percepire adesso è una mia creazione.
In realtà non è neanche così. Perché non sono io a creare questa percezione. Non c’è nessuna volontà nel farlo. Io non posso percepire il mondo in modo diverso da come lo percepisco. Io non scelgo le mie interpretazioni. Esse accadono. La costruzione si costruisce da sé. Anche le mie teorie e le mie credenze sono frutto di una costruzione che ho imparato a fare nella mia vita attraverso tutte le mie esperienze necessarie. Il mondo accade.

 

Che cos’è il mondo? Il mondo sono io.

 

Ma anche questa è una mia interpretazione.
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MAMMA ESCI DA QUESTO CORPO!

“Per il tuo compleanno. Tieni 30 mila lire. Ma a patto che non ti compri un CD.”

E, nel tempo, i desideri di tua madre entrano in te come “le cose giuste da fare”. Che vuol dire “tutto ciò che non è realmente un tuo desiderio, ma il desiderio di qualcun altro per te.”
E tu pensi però che siano desideri tuoi. No, sono desideri di tua madre, o, al massimo, di Gesù. Perché, come tutti sanno, se non fai quello che ti dice la mamma, Gesù piange.
E poi ti senti insoddisfatto e ti aspetti che il piacere te lo diano gli altri. O le altre. Cerchi di soddisfare i desideri degli altri perché così ti ameranno. Ma tua madre non sarà mai felice solo per il fatto che tu ti comporterai come vuole lei. Perché la sua felicità, come la tua, non può essere realizzata da un’altra persona diversa da se stessa.
Ed è molto più probabile che tua madre sarà felice quando sarai felice tu.
Sartre diceva “Gli altri sono l’inferno”. E invece “Gli altri sono la mamma”. Certo si potrebbe continuare con il sillogismo “La mamma è l’inferno.”
Una volta che sai questa cosa però puoi iniziare a fare un lavoro di ricerca della tua indipendenza. Del tuo vero desiderio.
Come si fa?
E che ne so?
Fatti aiutare da uno psicologo. Mica credi che su un blog puoi trovare la soluzione ai tuoi problemi.
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